Librinnovando: investire, innovare, promuovere. Ma chi paga il conto?

Da un evento ben riuscito ed organizzato come Librinnovando si torna portando a casa -o meglio in redazione- stimoli, riflessioni, idee e curiosità.

Dopo qualche giorno, fra tutti gli stimoli ricevuti, uno fra tutti emerge chiedendo risposta: si parla di sviluppo, di applicazioni, di innovazione e sperimentazioni. Ma passando alla realizzazione pratica, di chi è il compito di ‘pagare il conto’ di tutta questa sperimentazione?

Due scene mi tornano alla mente: la prima è quella di Elena Asteggiano, alias @ilredattore, che chiede di alzare la mano prima a tutti gli editor, e poi a tutti gli sviluppatori. La proporzione in sala favorisce i secondi, anche se non in grande misura.

La seconda scena riguarda il bailamme suscitato (prevalentemente su twitter, ma anche in sala) dalla risposta di Elena Conversi (Elastico App) alla domanda sul costo e la sostenibilità dello sviluppo della loro applicazione su Pinocchio per iPad&Co.
La Conversi spiega che il suo studio ha sviluppato l’app per promozione, per presentarla e nella speranza che un ‘Grande Editore’ poi li chiamasse per proseguire su qualche altro testo. I ‘Grandi Editori’ però, fatti due conti, ci investono meno di quanto ‘gli sviluppatori’ vorrebbero. Pochi coloro che scommettono su app editoriali ben fatte, si prediligono ‘prodotti’ più economici. Con un costo al pubblico che si aggira fra 0.79 e 1.99 cents viene difficile rientrare nei costi.

Ora: se stiamo parlando di editoria, e di editoria italiana, a chi ci rivolgiamo quando proponiamo lo sviluppo di app con costi superiori ai 15 mila euro, e che dati abbiamo per poter stabilire che la ‘scommessa’ potrebbe volgersi a nostro favore?
Parte dei ricavi si disperde consegnando a Apple o chi per essa la quota-percentuale per poter vendere nel suo store, parte che va a intaccare le entrate di chi, editore o sviluppatore, i contenuti li sta producendo. Inoltre, se ci rivolgiamo al mercato editoriale italiano e alla casa editrice media non possiamo fare a meno di calcolare quali siano le risorse e possibilità.

Forse le considerazioni della Conversi possono portarci ad un monito. Ad ogni evento sul digitale, sviluppatori e agenzie editoriali propongono prodotti innovativi e all’avanguardia su cui hanno investito il tutto per tutto, nella speranza di trovare un Grande Editore/Grande Investitore che gli sovvenzioni il lavoro. E’ tutto molto americano: cerco fondi per sviluppare la mia start-up, cerco clienti in grado di retribuire il mio lavoro, faccio pochi conti sulla sostenibilità di questo genere di editoria perché non è il mio lavoro. Poi ce la si prende con l’editore, che invece questi conti li deve fare, non può permettersi di investire in quel che lo sviluppatore gli propone e fa la parte del retrogrado incapace di pensare nuovo. Forse invece il problema è nel tipo di percorso che gli sviluppatori e gli editori fanno, ognuno per conto proprio e con scarsa capacità di cogliere le risorse e le problematiche dell’altro.

Per questo mi chiedo quanto questo tipo di proposta sia adeguata alle richieste e alle esigenze dell’editoria italiana.

Una delle risorse che ci siamo accorti di avere con quintadicopertina è quella di non esserci mai considerati una start-up in senso stretto. Non avendo alcun fondo da nessuno e non finalizzando i nostri lavori per trovare soldi per sviluppare qualcosa, abbiamo dovuto pensare a come camminare indipendentemente, rivolgendoci ai lettori, proponendo un’editoria innovativa con i piedi per terra, dove il margine di guadagno lo abbiamo con vendite intorno ai 400/500 testi scaricati. Si tratta di un discorso molto concreto, che ai grandi numeri virtuali preferisce darsi obiettivi realizzabili. Oggi molti nostri testi sono ancora lontani dalla boa dei 500 download, ma pensiamo che questo percorso dal basso sia più realista e redditizio che puntare a fare ‘il grande botto’ con un’applicazione da 15,000 euro che necessita di 17 mila download per rientrare nei costi. Anche perché questo è il mondo editoriale con cui ci troviamo a rapportarci, e non uno del mondo dei sogni che campa vendendo centinaia di migliaia di copie per ogni testo pubblicato.

C’è poi un appunto di tipo culturale: di fronte ad una platea di sviluppatori che mette in minoranza i redattori, c’è da chiedersi chi sia colui che si mette a fare editoria digitale e anche il perché.
Le scelte editoriali sono prima di tutto scelte culturali che – poco o tanto – impattano i lettori e, in seconda battuta, il panorama intellettuale italiano. Scegliere di aprire una collana che parla di geopolitica rispetto ad una di chick-lit, o investire su iApp digitali che potrebbero mettere secondo piano il contenuto, sono scelte editoriali, ma sono anche e soprattutto scelte politiche. Di fronte alle tante wunderkammer multimediali, anche di grande effetto, gli editori, i redattori e gli sviluppatori devono essere in grado di riportare l’attenzione alla cosa narrata e letta, e a riflettere sul cosa rimane al lettore dopo essere entrato ed uscito da questi nuovi prodotti digitali. Perché il rischio è che si continui a parlare di editoria digitale in termini di ebook multimediali, ebook interattivi, social reading, e non si parli mai di sofferenza, di rivolta, di cambiamento e di passione.
Che la cosa narrata resti – insomma – una sorta di appendice e non il cuore di quello che andiamo a fare.

5 risposte a "Librinnovando: investire, innovare, promuovere. Ma chi paga il conto?"

  1. Questa frase mi ha colpito molto: “Scegliere di aprire una collana che parla di geopolitica rispetto ad una di chick-lit, o investire su iApp digitali che potrebbero mettere secondo piano il contenuto, sono scelte editoriali, ma sono anche e soprattutto scelte politiche.”

    Chi paga il conto?
    Chi ci mette la faccia…

  2. Grande articolo. Ricordiamo che in Italia non ci sono le economie di scala possibili nel mondo anglofono o ispanohablante.

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