Narrazioni perse nella rete: dubbi di capo d’anno (1/4)

Avvertenze: Questo post è una introduzione ai prossimi tre che verranno. Non è leale o produttivo, ma questa volta mi venuta così.

Termino il 2009, per me prolifico in termini di web e scrittura, in preda ad una indigestione di presentazioni in .ppt e riunioni intersettoriali, tentativi di mediare fra ciò che si vorrebbe fare nel web e quello che gli altri credono sia giusto fare nel web. Non ne posso più della rete.

Il risultato è il riaffiorarsi di dubbi e timori da niubba: e se il web non fosse altro che una grande televisione e ne riproducesse gli stessi meccanismi, e se la capacità di utilizzare certi strumenti non avesse in fondo più importanza rispetto al contenuto del messaggio, al fine di spostare attenzione e quindi il luogo del dialogo? Cresciuta alla luce del cluetrain manifesto mi domando se siano poi così spontanee queste ‘conversazioni nella rete’. CHI da visibilità a COSA? E cosa crea valore: l’applicazione, il portale che da visibilità o il contenuto? E come determinarne la qualità?

Perché, discutevano su it.scienza.medicina, se si digita ‘vaccini’ su google, fra i primi quindici risultati sei parlano di terapie alternative o li vedono come cospirazioni governative, risultato non è paragonabile alla percentuale di favorevoli o contrari nel dibattito scientifico nella ‘real life’? La visibilità in rete rispecchia la credibilità? Per far apparire abbiamo imparato a drammatizzare, comicizzare, enfatizzare, utilizziamo buone tecniche video, strumenti di web editing, storytelling (oh, questo merita un capitolo a parte, vedi sotto…): alla fine vince chi è più bravo a utilizzare lo strumento o chi ha il concetto più interessante da raccontare?

Il risultato è che arrivo a pensare di aver sbagliato lavoro, o meglio di aver bisogno di vacanze.

Parto allora con tre libri sotto braccio: ‘Eretici digitali’, ‘Storytelling la fabbrica delle storie’ e ‘Crossmedia-le nuove narrazioni’. (la scelta dei titoli è parzialmente casuale: avrei potuto sceglierne altri ma mi sono capitati sotto mano questi tre).

Nei prossimi post come le letture hanno contribuito a identificare i miei dubbi.

Scommettere ora sull’editoria digitale: pazzìa e desiderio

Interessante l’articolo di Giuseppe Granieri L’editoria prossima ventura (La stampa, 10 gennaio 2010): interessante perché, in un periodo di attesa in cui si tende a non esporsi e non scomporsi, si lascia andare a qualche (certo generica) previsione.

Alcuni elementi da lui citati sono certamente confortanti. Ad esempio, il calo di margine per chi investe esclusivamente su nomi già noti (e le possibilità che si aprono per chi scommette sulla novità), poi l’aumento di domanda di ebook con contenuti speciali (eh sì, nuova tecnologia, nuovo modo di rapportarsi alla scrittura, nuove forme e nuove possibilità. Ecco perché non mi appassiona la digitalizzazione di vecchi cataloghi cartacei).

Si accenna anche al nuovo rapporto che si potrebbe venire a creare con l’autore.

A questi elementi aggiungo qualche considerazione:

> Il rapporto con l’autore è certamente nuovo e maggiormente collaborativo. La creatività infatti non si limita al testuale, quanto all’utilizzo stesso dello strumento. L’autore elabora delle proposte cui l’editore può non aver pensato, e che devono essere testate e valutate da entrambi. Il suo compito non termina con l’uscita del titolo: come editore, in pratica ‘giochiamo assieme’, e poi ‘giochiamo’ con i lettori. E visto che l’autore mi permette di giocare con lui ed è compartecipe del gioco, il ruolo è più ampio, i diritti sono più alti.

> Un nuovo tipo di marketing. Salta un certo tipo di distribuzione, si modificano i canali di promozione e comunicazione ufficiali (e un po’ di rivoluzione anche in questo non è certamente un male). Poco mi interessa di comparire nelle pagine ufficiali di narrativa e critica (poco, non nulla!). Con un pubblico di lettori ‘digitali’ devo trovare un luogo d’incontro che è più vicino a casa loro che a casa mia. Non bastano ‘manifesti’ affissi per le strade per catturare l’attenzione, devo cercarli e magari chiedergli se il prodotto piace o come lo vorrebbero. Non mi verranno mai a cercare da soli.

> Un nuovo rapporto con i lettori. Il tramite fra chi scrive e pubblica e chi legge non sarà più solo la libreria. Per l’editore, basta copie prenotate, fine dei commenti a caldo del rappresentante. E per il lettore fine del confronto con il libraio di fiducia (per chi lo avesse ancora). E’ l’editore stesso che deve essere in grado di raccogliere, cercare e incentivare critiche, commenti e consigli.

> Una nuova riflessione sul prezzo, la consapevolezza del lettore della catena di produzione del prodotto. Come utenti della rete ci stiamo abituando a considerare gratuiti molti contenuti, spesso anche di qualità. Da una parte si sa che i costi con l’editoria digitale dovrebbero essere sensibilmente abbattuti (costo della carta, della distribuzione, della libreria…), ma d’altra parte non si ha una chiara idea di quali siano gi altri costi (chi per esempio è a conoscenza del fatto che l’iva sugli ebook è al 20% contro il 4% dei libri tradizionali?). E nel momento in cui chiediamo agli autori un impegno differente sul lavoro del testo, quale è la quota di diritti ‘percepita come giusta’ da autore, editore e lettore?

Il lettore, in fin dei conti, è colui che decide di scommettere sull’ebook che compra. E vorremmo che scommettesse su tutta la casa editrice, sul progetto, che si affezionasse all’idea. Ma per farlo, ha tutto il diritto di conoscerla.

Questa ultima riflessione sul prezzo però richiede tempo ed attenzione. E un post tutto per se’.